Wednesday, July 30, 2025
HomeSportIn due ai quarti di finale: un Sinner minore, un Cobolli in...

In due ai quarti di finale: un Sinner minore, un Cobolli in spolvero


Sarà l’effetto della luce falsata dell’imbrunire sull’erba della Centre Court, sarà forse colpa della botta al polso e al gomito rimediata cadendo a terra malamente in uno dei primi scambi del match, o magari merito dell’avversario, non sottovalutato ma in inatteso stato di grazia. O sarà – come sostiene qualcuno – che Jannik non ha ancora elaborato il lutto della sconfitta in finale a Parigi, né superato la tensione provocata dal licenziamento di Marco Panichi e Ulises Badio. Comunque sia, per due ore il numero 1 al mondo subisce l’aggressività di Grigor Dimitrov, 34 anni, numero 21 della classifica mondiale in tempo reale. Apparentemente rallentato nei movimenti, falloso e a corto di colpi risolutivi, il ragazzo rosso lascia così i due set d’avvio: il primo senza più recuperare un break subito a freddo (3-6), il secondo cedendo a zero il game di servizio sul 5 pari e poi, alla risposta, pagando la potenza e la mobilità dell’avversario (5-7). Eppure Jannik va ai quarti di finale perché, appena piazzato l’ace che lo porta sul 2 pari nel terzo set, il bulgaro s’accascia, con il braccio quasi inerte. Uno strappo ai pettorali, probabilmente: doloroso e non recuperabile. Passare un turno in questo modo non piace nemmeno ai Carota Boys.

Eccoci al punto. È sbagliato incasellare o, addirittura, ingabbiare il tennis in qualche schema predefinito. Mi spiego prendendola alla lontana. Gli storici del calcio parlano della scuola ungherese di Puskás e Hidegkuti, di quella brasiliana di Pelé e Zico, dell’argentina di Maradona e Messi. Il tennis non è come il calcio, né tantomeno come l’economia, la pittura o l’architettura: discipline alle quali si attribuiscono scuole che corrispondono a luoghi precisi, da Vienna a Francoforte, da Chicago a Firenze, dalle Fiandre a Cambridge. Tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, per esempio, i filosofi della Scuola di Francoforte ebbero un condiviso approccio critico alla società, alla cultura e all’economia. Non risulta invece che i tanti giocatori allenati a Bradenton da Nick Bollettieri avessero caratteristiche comuni riconoscibili, né tantomeno quelli usciti dall’accademia di Riccardo Piatti a Bordighera. Tra il 1975 e il 1995 si è parlato – secondo me impropriamente – della scuola tennistica svedese che “produsse” Borg e Wilander, e di quella spagnola con Santana negli anni Sessanta e con Nadal in tempi recenti, ma erano fenomeni temporanei, talvolta ricorrenti, dovuti a situazioni ambientali in parte irripetibili.

Questa premessa mi serve per sostenere che non c’è, né ci sarà, una scuola italiana. Jannik Sinner, allievo proprio di Piatti, Lorenzo Sonego, cresciuto a Torino da Gipo Arbino, e Flavio Cobolli, romano allenato da adolescente da Vittorio Magnelli, non sono tecnicamente e tatticamente assimilabili. C’è un attuale speciale contesto italiano, quello sì, frutto del lavoro della FITP e delle strutture private che operano a stretto contatto con la Federazione. I colleghi della stampa straniera, tuttavia, pensano che noi cronisti a Wimbledon siamo depositari di qualche segreto, di una formula magica che trasforma le schiappe in vincenti, e dunque ci guardano con occhi diversi rispetto al passato. Va bene così: serve a rifarci finalmente dei troppi bocconi amari di un tempo.

Oggi i ragazzi italiani che erano approdati agli ottavi di finale dei Championships sono protagonisti di tre storie totalmente diverse. Di Sinner ho detto: è stato il caso, più che il suo tennis in tono minore, a dargli il pass per i quarti. Sonego lotta allo stremo contro il giovane americano Ben Shelton, numero 9 ATP, ma si arrende al quarto set. Cobolli s’impone su Marin Cilic – uno dei sei giocatori in attività ad aver vinto almeno uno slam – in forza di un’impressionante serenità atletica e strategica, che significa sicurezza nella preparazione fisica e nei propri colpi. Sulla carta, il ragazzo di Roma Nord non ha un compito facile sul campo 2 contro il classe 1988, ex numero 3 ATP, trionfatore a Flushing Meadows nel 2014, finalista a Wimbledon nel 2017 e a Melbourne nel 2018. Approdato agli ottavi da numero 83 al mondo, dopo aver eliminato il belga Raphael Collignon, il britannico Jack Draper, testa di serie numero 4 del torneo, e lo spagnolo Jaume Munar, il croato ha ritrovato forma e motivazioni dedicando gli ultimi mesi al circuito Challenger. A fine maggio sulla terra rossa del Roland Garros aveva già incrociato Cobolli al primo turno, senza opporgli quasi resistenza (6-2 6-1 6-3). Ma poi l’erba di Ilkley e quella di Nottingham, dove aveva battuto in finale il giapponese Shintaro Mochizuki, lo hanno rimesso a nuovo.

Il punteggio, 6-4 6-4 6-7 7-6, racconta di un confronto equilibrato, segnato dai break ottenuti nei primi due set da Cobolli e dalla resilienza di Cilic negli altri due parziali. Flavio domina all’inizio grazie ai potenti colpi in campo aperto, alle volée e ai drop shot precisi. Cilic reagisce nel terzo set, ribaltando l’inerzia della partita. Nel quarto parziale, Cobolli subisce un break che riesce per fortuna a neutralizzare immediatamente. Al tie-break decisivo è più freddo e determinato dell’avversario. Papà Stefano – il coach che non vuole essere definito coach – e il fratello Guglielmo, presenti in tribuna, non trattengono le lacrime. Emozionato anche l’amico del cuore di Flavio, l’ex calciatore della Roma e della Fiorentina Edoardo Bove, che si è unito nelle ultime ore al gruppo familiare e tecnico dei Cobolli. Ai giornalisti spiegherà più tardi che “…tutti nella mia famiglia mi dicevano che ero nato per giocare partite come questa, che vivo per match così. Penso sia vero. Mi piace giocare contro una leggenda del nostro sport. Mi piace stare su questi palcoscenici, in questi tornei. Adoro giocare qui a Wimbledon. Adoro l’erba”. Servono motivazioni così per affrontare mercoledì Novak Djokovic, che ha eliminato l’australiano Alex de Minaur in quattro set.

Bravissimo anche Sonego, che parte forte, conquista il primo set 3-6 con colpi profondi e un rovescio chirurgico, ma Shelton non si lascia intimorire. L’americano ritrova ritmo e mantiene i nervi saldi, risponde con un netto 6 1 nel secondo set, sfruttando i servizi potenti e i vincenti in progressione. Nel terzo parziale, la tensione nella Court no. 1 resta altissima: l’equilibrio non si spezza fino al tie break, dominato da Shelton. Lollo prova a reagire, tiene duro fino al 5 pari, ma cede nel momento decisivo: i set finali finiscono 7-6 7-5 per il figlio di Bryan, allenatore del team della University of Florida, che raggiunge per la prima volta i quarti di finale a Wimbledon dove troverà Sinner. L’anno scorso, negli ottavi, finì 6-2 6-4 7-6 per l’italiano.



Source link

RELATED ARTICLES

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Most Popular

Recent Comments